Intervista di Gaia Giorgetti
Come il battito d’ali di una farfalla può provocare un monsone, così il volo di un pipistrello può scatenare una pandemia. «La salute è circolare», avverte Ilaria Capua, la scienziata che ha combattuto l’aviaria e che il mondo ci invidia,«viviamo in un sistema dove tutto è collegato.La pandemia ci ha stravolto, ma ci spinge al cambiamento, ora è il momento di volare alto».
Ilaria Capua guarda oltre ancora una volta e affida la sua visione al nuovo libro La meraviglia e la trasformazione, trovando le parole giuste per raccontarla anche ai più piccoli nel volume “Girogirotondo è uno il mondo!” Capua ha già dimostrato di essere una scienziata profetica quando – prima al mondo – scardinò la prassi di tenere segreti i dati delle ricerche scientifiche, rendendo pubblica la sequenza di una variante dell’aviaria isolata dal suo staff: osò sfidare il sistema perché era convinta che tutte le conoscenze sui virus influenzali dovessero essere condivisi per il bene collettivo.
Un gesto rivoluzionario che le costò un prezzo altissimo: l’accusa infamante, poi totalmente smentita, di essere una trafficante di virus (sulla vicenda ha scritto un libro nel 2017, Io, trafficante di virus, che presto sarà un film).
In realtà , è proprio grazie a lei, “paladina della scienza libera”, oggi a capo del centro d’eccellenza One Health dell’Università della Florida, che abbiamo potuto avere armi più efficaci contro il Covid, riuscendo a sviluppare vaccini in tempi record.
Professoressa, la pandemia all’inizio ci ha spiazzato.
Gli scienziati lo avevano previsto, ma il resto del mondo ha provato stupore davanti a una realtà che non aveva mai neppure immaginato. E proprio mentre il virus picchiava forte, alcune abitudini che prima erano normali sono diventate obsolete. Poi è potuta partire la spinta, un movimento inevitabile verso il cambiamento, al quale nessuno può sottrarsi, come se fossimo parte di una reazione chimica: le pandemie sono eventi che trasformano, è da stupidi cercare di rimanere fermi dove eravamo prima.
Siamo nella fase del rinnovamento?
Chi inviterebbe a cena qualcuno con la febbre? Le trasformazioni sono già avvenute: mettiamo la mascherina, ci laviamo di più le mani. Ci viene naturale, ed è sensato farlo.
Se questa pandemia era una “cronaca annunciata” perché allora ci ha colto così impreparati?
La scienza lo sapeva, tant’è vero che ha trovato subito il vaccino. La politica, invece, non era pronta, perché una pandemia era un evento probabile ma, non essendo prevedibile, non era tra le priorità. Tant’è che non sono stati finanziati gli studi, i governi non hanno aggiornato i piani pandemici, non avevano né mascherine, né altri dispositivi.
Ripercorrendo la storia millenaria dei virus, lei ricorda che il 60 percento delle malattie ha origine animale. II Covid è diverso dagli altri?
Ha caratteristiche sue. Per prima cosa c’è stato il negazionismo, che ha prodotto ritardi nell’identificazione dei primi casi: quando alcuni leader arrivano a dire che il virus è una stupidaggine, metà dello sforzo è perso in partenza, perché da emergenze come queste si esce solo insieme, non se ognuno va per la sua strada. Altra differenza è che ha viaggiato in aereo, facendo il giro del mondo in pochi giorni, mentre la peste bovina girava a piedi e la Spagnola sulle navi. Terzo contro il Covid gli uomini non avevano anticorpi, mentre contro la Suina avevamo una piccola immunità che ha tamponato la gravità del problema.
Il caso dell’aviaria può insegnarci molto: perché allora l’abbiamo scampata e sta volta no?
L’aviaria è un virus molto aggressivo, letale nel 50 per cento dei casi per le persone, ma poco trasmissibile. Controllando la malattia nei polli, siamo riusciti a impedire al virus di fare il salto di specie, bloccando la possibilità di selezionare varianti trasmissibili da uomo a uomo. La comunità internazionale si è mossa subito e ha dato una risposta globale. In questa pandemia, invece, non ci sono stati controlli sui mercati di animali vivi, molto probabilmente è stato sottovalutato il pericolo. Basta un attimo per far scoppiare la bomba. E così è successo.
Lei, la prima a rendere pubbliche le sue ricerche su un virus, oggi auspica la creazione di un’infrastruttura informatica mondiale, dove far confluire ogni tipo di dato. Cosa possono dirci i numeri?
Questa pandemia è l’evento più analizzato della Storia: abbiamo avuto dati non solo sanitari, ma su tantissimi aspetti, non era mai successo. Per esempio sul genere: questo virus colpisce indiscriminatamente maschi e femmine, però si manifesta in modo diverso, non solo dal punto di vista biomedico, ma anche sociale: le donne hanno perso più posti di lavoro, hanno faticato il doppio perché i figli sono stati a casa, hanno curato gli anziani. Se separassimo i dati di uomini e donne, potremmo leggere realtà diverse e trovare nuovi percorsi.
Big Data per la parità di genere?
Se dovessimo decidere, per esempio, chi deve fare smart Working, i numeri darebbero una risposta chiara: le donne riescono a gestirlo meglio. Oppure: se le donne muoiono meno di Covid, e quindi verosimilmente costano meno al servizio sanitario, perché allora non investire nella medicina di genere i soldi pubblici che fanno risparmiare?
A proposito di donne e cambiamenti sociali: è stata ingiustamente vittima di una vicenda che l’ha travolta come studiosa, come madre e come donna. Dove ha trovato la forza di rinascere?
Nel momento più buio sapevo che l’unica cosa che potevo fare era rimettere insieme i pezzi e ripartire, anche se è stata dura. Le donne generano la vita, la rinascita fa parte di noi, la maternità sviluppa un’attitudine al cambiamento. La forza l’avevo dentro, come tutte noi, altrimenti madre natura non ci avrebbe affidato la perpetuazione e la manutenzione del genere umano. Ne ero consapevole, ma non è così chiaro a tutte: noi donne abbiamo una grande responsabilità, ma anche un grandissimo potere.
Vaccinare tutto il mondo: riusciremo?
L’immunizzazione della popolazione mondiale è essenziale per ridurre l’impatto delle pandemie, ma sei vaccini devono essere conservati a basse temperature, per arrivare a vaccinare la popolazione del Ruanda servirebbero anni. Con gli strumenti che abbiamo, entro un quinquennio vaccineremo solo l’8′ per cento del pianeta, nel frattempo però potrebbe arrivare una variante pericolosa. La soluzione è investire in vaccini che viaggino a temperatura ambiente e che siano distribuiti con i droni, in compresse o in cerotti. Questa pandemia costa 350 miliardi di dollari al mese: se mettessimo anche solo un miliardo per sviluppare vaccini termostabili una soluzione si riuscirebbe a trovarla. Ve lo assicuro.