Le pandemie e le regole che mancano.

19 Luglio 2024

Dal Covid all’aviaria negli Stati Uniti: per gestire i focolai inattesi ci vorrebbero linee guida chiare e condivise.

Una delle realtà emerse sin dall’inizio della pandemia da Covid è stata quella che, nonostante esistessero delle linee guida e regolamenti sviluppati dall’Oms per ridurre l’impatto dell’ondata pandemica, in molti Paesi queste regole sono state ignorate, travisate oppure addirittura stravolte: questo ha indubbiamente aggiunto uno strato di confusione e smarrimento con conseguenze negative sulla complicatissima gestione dell’emergenza.

Agli alti piani dell’Oms e delle Nazioni Unite già verso la fine del 2020 si è iniziato a parlare di un Pandemic Treaty — ovvero un trattato pandemico fra gli Stati per reagire in maniera più efficace e coesa per far fronte alla prossima pandemia.
In questi due anni lo sbandierato Pandemic Treaty è stato trasformato in «Pandemic Accord», che risulta essere molto meno ambizioso dell’intento originale. Addirittura, qualche osservatore sostiene che l’ultima versione è stata completamente svuotata dei contenuti essenziali. Insomma, i Paesi che aderiscono all’Onu non trovano una quadra sulla governance e sulla spinosa questione della proprietà intellettuale e tutto è stato rimandato al 2025.

Certo, la pandemia che sembrava nel 2020 un abisso dal quale saremmo usciti segnati per sempre è stata fagocitata dalla comprensibile amnesia collettiva delle persone, ma è stata declassata a non prioritaria dalle autorità e dai decisori. Nel frattempo, in aggiunta, sono scoppiate due guerre orrende ed ostinate che hanno stravolto lo scenario geopolitico ed il cambiamento climatico ormai non è più un concetto astratto ma è arrivato come un gigantesco macigno sulla via del futuro dell’umanità.

Ma mentre i decisori cambiano le priorità — sempre in rincorsa e mai giocando di anticipo, il rischio pandemico non è scomparso anzi è peggio di prima, direi, a causa di un salto di specie totalmente inatteso: l’influenza aviaria nei bovini negli Usa. Ed è proprio per gestire questa serie di focolai inattesi che ci vorrebbero linee guida chiare e condivise — come quelle previste per il Pandemic Treaty nella sua versione originale.
Credo che, prima di questo evento, qualsiasi esperto della materia avrebbe bollato come impossibile questa evenienza. Per quanto ne sapessimo noi virologi fino alla fine del 2023, i bovini non prendono i virus influenzali, meno che meno quelli aviari.

Ne ho già scritto su queste pagine, l’influenza aviaria è una malattia che ha cambiato totalmente faccia negli ultimi 25 anni. È diventata un’altra malattia — soprattutto a causa del numero enorme di specie di mammiferi che ne vengono colpiti. Ma al di là di questo, mentre infuriano le guerre, le speculazioni sulle elezioni di mezzo mondo e le devastazioni causate dagli eventi meteorologici estremi, negli Stati Uniti sta succedendo qualcosa di doppiamente inaspettato. L’influenza aviaria H5N1 ci sorprende ancora. È un virus prepandemico a tutti gli effetti e sta infettando migliaia di mucche da latte in oltre 10 Stati americani. Il numero cresce ogni giorno e la situazione è sempre più complicata perché non si capisce come il virus si stia diffondendo, quale siano state le vie di infezione e come sia possibile che, di punto in bianco, l’infezione sia esplosa in questa specie creando di fatto un enorme serbatoio di virus. Il virus viene eliminato con il latte (quello per il consumo umano viene pastorizzato e quindi non c’è rischio diretto per il consumatore), ma il grandissimo nuovo serbatoio rappresentato dai bovini infetti esiste ed è fonte continua del virus che può infettare altre specie tra cui l’uomo, i gatti ed i roditori. Ma il pericolo vero è che, appena ripartirà la stagione influenzale umana, le centinaia di operatori (di cui molti invisibili che lavorano nelle sale mungitura o negli allevamenti) potrebbero essere infetti con un virus influenzale umano il quale, come è accaduto in passato, potrebbe rimescolare i geni (ovvero attuare una vera e propria riproduzione sessuale) con un virus aviario H5N1 di cui — a causa di questo spillover uccello-bovino — ce n’è in circolazione una quantità mai vista.

Trapelano poche informazioni dai focolai e dai laboratori. Gli aggiornamenti dei CDC (Centers for Diseas Control di Atlanta) escono a rilento e le misure di controllo della diffusione sono molto blande. Ci sono pochissime sequenze pubblicate e le informazioni sono lacunose.
Insomma, non solo non siamo capaci di stilare della linee guida per attutire il colpo della prossima pandemia ma non siamo neanche capaci di rispondere tempestivamente per bloccare un fenomeno dai connotati sorprendenti e ignoti che potrebbe rappresentare l’origine di un nuovo virus pandemico. Questa volta non in Asia o in Africa, ma negli Stati Uniti d’America.

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