Ilaria Capua racconta i virus ai ragazzi: “Bisogna tessere la scienza nelle nostre vite”

9 Marzo 2021

Nell’estate del 1999 a New York le strade e i parchi cominciarono a riempirsi di corvi e merli caduti dal cielo. Non era a causa dei grattacieli, contro cui frequentemente si scontrano questi volatili. Erano così tanti che una veterinaria dello zoo del Bronx, Tracey McNamara, cominciò a indagare fino ad arrivare a una nave che trasportava vecchi pneumatici nell’Atlantico e con essi, pare, anche delle larve di zanzara infette. Ecco l’origine di un focolaio di West Nile Virus, a dimostrazione che, in un mondo di viaggi, scambi e spostamenti ininterrotti, è assurdo pensare che esistano “malattie esotiche”.

È solo uno degli 11 virus raccontati nel nuovo libro di Ilaria Capua, “Il viaggio segreto dei virus”, edito da DeAgostini e in libreria dal 23 febbraio. Rivolto ai ragazzi a partire dagli 11 anni, ma utilissimo per gli adulti che si illudono di sapere dei virus più di quanto ne sappia un bambino, questo libro nasce con lo scopo di combattere “il virus più pericoloso di tutti: quello dell’ignoranza”. Così recita la quarta di copertina.

Ne abbiamo parlato con l’autrice, la professoressa Capua, che da Gainsville, dove dirige il Centro di eccellenza One Health dell’Università della Florida, ha risposto ad alcune nostre domande.

Durante la pandemia ci sembrava di aver imparato molto sui virus, ma il suo libro ci spiega che dobbiamo sapere di più. Perché è così importante conoscere meglio i virus?
Lo scopo del libro è normalizzare nell’immaginario collettivo la coesistenza forzata, e fino a oggi anche abbastanza pacifica, con i virus. Prima della pandemia da Covid se ne occupavano pochissime persone: medici, infettivologi, veterinari, esperti di conservazione di fauna selvatica, fitopatologi. Nel libro si racconta che, anche se a molti sembra sorprendente quello che sta succedendo, in realtà coi virus abbiamo a che fare da sempre, continuamente. Basti pensare all’Hiv, una pandemia che ha stravolto le vite di una generazione e ne ha cambiato le abitudini. Se riuscissimo a portarci dietro il 50% dei comportamenti virtuosi che abbiamo imparato in quest’ultimo anno, sarebbe già qualcosa. Può essere un momento di crescita. Quello che mi sorprende è che tutti siano sorpresi: dal mio punto di vista i virus ci sono sempre stati, hanno sempre fatto danni e per questo li studiamo.

Non è quindi la prima volta che un virus cambia il corso della storia. Come mai ci sentivamo immuni e ancora non eravamo pronti a rispondere a una pandemia?
Siamo sempre stati convinti che in un ipotetico mondo strutturato in macrocaselle, ci fosse una casella per gli umani, una per gli animali, una per le piante. L’errore di fondo è non aver visto che noi stiamo nella casella con gli animali, e che in ogni caso le caselle sono interconnesse. La nostra vita e la nostra salute sono influenzate da quello che accade alla nostra specie, ma anche al regno animale a cui apparteniamo e al regno vegetale che costituisce una gran parte della nostra alimentazione. Se alcuni sperano che la pandemia rimarrà solo un brutto ricordo, io con questo libro spero di instillare un po’ di curiosità, metto un piede davanti alla porta prima che si richiuda. Per questo mi rivolgo ai ragazzi: spero che la generazione Z, la generazione di Greta, avrà la volontà di mettere insieme i pezzi di questa circolarità, di scoprire il modo di affrontare dei problemi che adesso dovremo per forza affrontare.

Non è la prima volta che si dedica ai più giovani, solo recentemente aveva già dato alle stampe “Ti conosco mascherina”. Perché è così importante parlare con loro?
Se vogliamo migliorare dobbiamo puntare su di loro, anche perché serve una grande accelerazione e ce la possono dare solo loro. È chiaro ormai che noi adulti siamo legati a un’altra epoca. Dopo un anno di pandemia c’è chi ancora soffre per la comunicazione da remoto, pensa al “come eravamo”, mentre per alcuni ragazzini è già strano pensare che prima si andava a scuola tutti i giorni. Abbiamo il dovere di trasmettere ai ragazzi le nostre conoscenze e interpretazioni di quello che accade, ma poi dobbiamo lasciare loro spazio, nella direzione di creare cittadini di domani più consapevoli e partecipi.

Probabilmente in questo momento i più piccoli si sentono spaventati e sfiduciati. In che modo la scienza può rispondere a queste emozioni?
La paura è un istinto naturale che ha la sua funzione. Ma ha un suo tempo fisiologico, altrimenti diventa patologica. La paura si può affrontare e sconfiggere con la conoscenza, e alla conoscenza si arriva partendo dalla curiosità, che deve essere stimolata nella testa dei ragazzi, per creare un movimento virtuoso. La conoscenza aiuta poi a riportare alla normalità e alla comprensione determinati meccanismi, portandoli fuori dai confini della paura. Le pandemie accadono. Ci saranno altri virus, alcuni diventeranno pandemie, altri no, ma bisogna imparare a gestirle e questo ormai dovrebbe essere chiaro a tutti.

Oltre alla pandemia da coronavirus abbiamo partecipato globalmente a un’infodemia: informazioni e dati si susseguivano anche contraddicendosi. La gente comune cosa ha imparato da quest’anno di pandemia? E cosa avrebbe dovuto o potuto imparare?
Le persone devono essere più ricettive a determinati messaggi, non possiamo essere così impreparati da non capire la differenza tra un vaccino e un antibiotico. Questo libro va nella direzione di un’alfabetizzazione scientifica perché dobbiamo impegnarci ad arrivare presto a comporre delle sillabe, non solo a riconoscere le lettere dell’alfabeto. In questo senso aiuterebbe molto la responsabilità di chi fa informazione: troppo spesso si sottolineano ad esempio le divergenze tra gli esperti e non le convergenze, anche quando queste sono di più. È un altro modo per fare disinformazione. Tutto viene polarizzato in una narrazione che contrappone negazionisti e catastrofisti e questi circuiti di amplificazione patologica confondono ancora di più. Per questo mi sono tirata fuori dal dibattito sui social e preferisco scrivere libri. Peraltro non da adesso: “Il viaggio segreto dei virus” è il mio decimo libro, il primo è stato nel 2008.

Nel suo libro i virus sono un pretesto per viaggiare alla scoperta della complessità della natura. Quanto siamo lontani dalla visione di questa complessità? Pensa che la pandemia ci abbia dato una sferzata in questa direzione?
Io lo spero. Se non ce l’ha data la pandemia che altro deve dirci madre natura? In quest’ultimo anno abbiamo fatto un esperimento che nessuno avrebbe mai finanziato: abbiamo fermato il mondo e l’aria è diventata più pulita, l’acqua anche. Non ci sono voluti 40 anni. Io per esempio mi aspettavo che la natura fosse più compromessa, che ci mettesse di più a rispondere. Invece in due mesi di produzione e traffico ridotti al minimo abbiamo visto un cambiamento. È un messaggio fortissimo.

La scienza sta giocando una partita importante in questo momento: deve dimostrare non tanto di avere tutte le risposte quanto di avere la statura morale per rispondere alla sfiducia che genera i complottismi. Riuscirà a ritrovare un ruolo centrale?
Nulla può essere centrale. La pandemia ha rafforzato le bolle dentro cui siamo isolati. Ognuno di noi parla e interagisce sempre con le stesse informazioni, in un modo quasi incestuoso. La scienza ha l’obbligo di occupare nuovi spazi mentali, che non potranno convergere in una centralità. Io aspirerei a un altro modello: tessere la scienza nelle nostre vite e offrire dei contenuti di scienza fruibili a tutti in diversi formati. Immagini che le nostre azioni di tutti i giorni siano un mantello di tweed dove i pallini colorati che compongono il tessuto, distribuiti in modo irregolare, sono una pallina di fisica, una di chimica, una di biologia, di ecologia e così via. È così che dobbiamo guardare la scienza. Come il tessuto che compone la nostra quotidianità.

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