La cultura del vaccino

10 Gennaio 2018

Da IL FOGLIO, 10/01/18

 

Vorrei provare a fare una sintesi, accorpando concetti e notizie che sono circolati in questi giorni a proposito dell’epidemia di influenza che sta mandando in tilt le strutture sanitarie nazionali (e ahimè anche quelle europee). Inizio da cent’anni fa.

Sì, perché l’epidemia di influenza più grave che si ricordi – la cosiddetta Spagnola – compie cent’anni. Un’epidemia causata da un virus che ha fatto più morti della Prima guerra mondiale e che ha beneficiato di una serie di circostanze a favore della sua diffusione e gravità. Era un virus “nuovo”, nei confronti del quale non c’era immunità nella popolazione, nonché un virus particolarmente aggressivo. Non fu possibile vaccinare per contrastarne la diffusione, non c’erano ancora gli antibiotici per intervenire sulle infezioni secondarie. Poi le dinamiche di un conflitto bellico hanno fatto il resto. Un’ecatombe. Oggi, possiamo dire che la medicina ha fatto grandi progressi, anche se i progressi non sono mai perfetti.
Sappiamo molto di più su come funzionano i virus influenzali, abbiamo sviluppato i vaccini e abbiamo gli antibiotici per contrastare le infezioni batteriche secondarie.

In più, grazie all’aumentata consapevolezza sui meccanismi di emergenza di questi virus, esistono e funzionano network di sorveglianza internazionale per permetterci di essere più pronti a rispondere a una nuova emergenza. Sembrerà strano – e certo non è in asse con la filosofia italiana del “ci penserà qualcun altro” –, ma, proprio cento anni dopo la Spagnola, dobbiamo ancora rovesciare un paradigma. Se “ci pensa qualcun altro”, ovvero se tutti delegano la responsabilità a qualcun altro, è il servizio sanitario nazionale che ne soffre, e quindi ci rimettiamo proprio noi. Ce lo ricordano a suon di cifre Caterina Rizzo e Gianni Rezza dell’Istituto superiore di sanità sulla Stampa di qualche giorno fa. Un influenzato costa allo stato 500 euro al giorno, un ricoverato per influenza 1.500. Sì, perché l’influenza fa male e a volte uccide. L’influenza costa ai datori di lavoro e alle famiglie.

L’influenza costa alla produttività del paese, senza contare i costi della cura e quelli di gestione del picco di ammalati. Alcuni ospedali rischiano la paralisi e sono costretti a rimandare interventi chirurgici anche programmati da tempo. In più, le forme complicate di influenza devono essere trattate con antibiotici che, oltre a essere costosi, dovrebbero essere usati il meno possibile per ridurre il fenomeno galoppante della resistenza batterica. Come ha scritto Alberto Mantovani l’altro ieri sempre sulla Stampa, è necessario un cambiamento culturale sull’uso dei vaccini. Sono d’accordo, e vorrei aggiungere che nel contempo è necessario un passaggio addizionale: l’assunzione di responsabilità, soprattutto da parte degli astensionisti. C’è chi non si vaccina perché è contrario alle vaccinazioni, ma c’è anche chi non si vaccina senza una motivazione a sostegno. Così: “non mi vaccino e basta”. Però ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire alla salute del nostro servizio sanitario nazionale attraverso un gesto di responsabilità volto – se non altro – a ridurre gli sprechi.

Così come non sono più accettabili per i cittadini le auto blu, dovrebbe essere altrettanto inaccettabile ammalarsi per un’infezione prevenibile. Non parliamo poi di chi, a causa dell’influenza, muore. Anche fosse solo perché hanno dovuto posticipare l’intervento di by pass-coronarico.

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